VITI-COLTURA IRPINA
Viti - Coltura Irpina

L’azienda agricola Giovanni Carlo Vesce produce da molte generazioni pregiate uve e vini da vitigni autoctoni per il consumo di famiglia e di affini, conferendo il surplus della sua produzione ad aziende vinicole locali..

VITI-COLTURA IRPINA

L’attuale azienda agricola Giovanni Carlo Vesce produce da molte generazioni pregiate uve di aglianico e vini per il consumo della famiglia e degli affini, conferendo il surplus delle uve ad aziende vinicole locali.

Fino alla metà del ‘900, i vigneti della famiglia Vesce venivano sapientemente coltivati da famiglie di contadini residenti sui diversi fondi, secondo gli usi e i costumi regolati dalla mezzadria. Quelle famiglie trovavano giusto e conveniente osservare tali contratti che garantivano loro un benessere economico e la disponibilità di preziosi prodotti di origine vegetale e animale. I fattori (Massari), da buoni capifamiglia, governavano e educavano rettamente i loro figli, assicurando loro istruzione perché sapessero almeno leggere e scrivere. Il rispetto degli anziani, delle donne e di una legittima gerarchia sociale era d’obbligo. Nei momenti dei raccolti quali la vendemmia, la mietitura e la lavorazione del tabacco beneventano, nonostante la numerosità delle famiglie contadine, c’era lavoro anche per i braccianti (bracciali), sparsi tra i paesi e le campagne limitrofe; purtroppo, non sufficiente per tutti, sicché molti di essi dovevano incamminarsi a piedi verso le Puglie, più spesso ai tempi della mietitura, separandosi dalle loro famiglie per varie settimane.

L’onestà e l’onore erano alla base dei rapporti con i proprietari. I patti agrari erano garantiti dalla parola d’onore, che a quei tempi valeva quanto gli atti notarili. Il rispetto reciproco era la norma e tutta la famiglia Vesce non mancava di esercitarlo, al pari dei propri mezzadri. Rarissime le contestazioni, in genere legate ad eventi eccezionali, di ordine meteorologico o sanitario. A cavallo del XVIII secolo, nella Universitas di Pietradefusi c’erano 47 massari e 467 braccianti. Due secoli dopo, la fame, l’emigrazione e i danni delle grandi guerre, insieme alla caduta della mezzadria, cambiarono radicalmente il sistema agricolo e sociale. I fitti agrari abolirono i preesistenti rapporti con i proprietari, e con essi l’osservanza e il valore della parola d’onore. L’agricoltura moderna stentava ad affermarsi, eliminando l’élite contadina e dando spazio a novelli agricoltori privi di cultura e dei consueti valori etici.

Nell’attuale realtà agricola, condurre un’azienda vitivinicola di piccole dimensioni è un’impresa folle e rischiosa. La carenza di cooperative di servizi, di associazionismo tra produttori, di mano d’opera qualificata e affidabile, costituisce una barriera invalicabile, aggravata dagli oneri fiscali, burocratici, e dai sempre più costosi presidi sanitari. La scommessa di Giovanni Carlo è dimostrare le potenzialità dell’aglianico di Taurasi, oggi poco valorizzate dalla maggioranza delle aziende locali, orientate alla quantità piuttosto che alla qualità delle produzioni. Un grosso divario colturale, economico e culturale separa la media dei vini Irpini dalla qualità dei vini piemontesi, veneti, toscani, ecc., né le politiche finanziarie del governo invertono la loro logora strategia assistenziale verso un sistema produttivo che valorizzi le eccellenze del territorio, creando una valida economia dei settori vitivinicolo ed agroalimentare irpini.